@ - PER UN RICORDO DEL "VISSUTO IN AFGANISTAN"
Dopo vent’anni, i talebani oggi si sono ripresi Kabul, quella città così oscura e lontana, divenuta suo malgrado il paradigma delle consapevolezze di tutto ciò che siamo. Di che cosa è il genere umano, di che cosa sono la politica e la storia, di che cosa sono i valori e gli ideali per i quali vale la pena esistere, di che cosa sono le donne, di che cosa significano i diritti umani e i diritti negati. E allora è bene ricordarci adesso, per un momento, in che cosa credevamo, in che cosa speravamo, che cosa temevamo, chi eravamo vent’anni fa.
Quando iniziò la guerra in Afghanistan avevo 16 anni. Su quella guerra, capendone molto poco, ero piena di dubbi. All’epoca, ancora scossi dalla strage delle Torri Gemelle, eravamo divisi in due fazioni, e occorreva per forza schierarsi: pro guerra e contro la guerra. Che significava pro Usa e contro Usa, che significava pro Bush e contro Bush. Altre sfumature non erano ammesse. Non mi piacevano quelle classificazioni: non ero certamente contro gli Usa, (sebbene, lo ammetto, non mi piacesse Bush), ma alla fine ero comunque contro quella guerra. Con la determinata e appassionata sensibilità degli adolescenti sentivo l’errore, e l’orrore, di quella guerra sommarsi all’orrore dell’11 settembre, ancora caldo di angoscia e di violenza. Si risponde all’orrore con l’orrore? Esiste la guerra giusta? All’epoca ne parlavamo tutti in questi termini: guerra giusta. Mi sembrava ipocrita e vile.
C’era poi la questione dei diritti umani. I diritti delle donne. I diritti negati. Ma quella che andava in scena nel lontano 2001 non era certo una guerra per i diritti. I diritti delle donne e i diritti delle minoranze (etniche, sessuali, culturali) sono da sempre usati per il tornaconto di altri scopi. Specie in tempo di guerra. A volte poi va bene, va comunque bene. Più spesso va male.
Passarono i mesi e velocemente gli anni. E velocemente ci siamo dimenticati, mi sono dimenticata, dell’Afghanistan e di quella guerra. Era forse una guerra giusta, davvero giusta, alla fine? Mi ero forse sbagliata? Erano arrivati davvero gli agognati diritti, davvero il Paese era cambiato in meglio? Forse sì. Semplicemente, non se ne parlava più.
L’Afghanistan era tornato ignoto e lontano, le sue sorti irrilevanti e oscure. Fino ad ora. La storia ha ricucito rapidamente l’inizio e la fine di quella guerra mostrandoci il senso di un fallimento ideologico e politico, prima ancora che militare: il primato dell’occidente, la guerra giusta, i diritti negati, il bene e il male, il senso dell’umano. Pagine di giornali, libri interi, serate di dibattiti in tv: tutto si è polverizzato, il nostro disquisire e il nostro inutile scannarci sull’etica della lotta al terrorismo, il nostro vagheggiare giustizie democratiche, il nostro esportare valori, leggi, regole, pace, armonia. Abbiamo fallito nel nostro parlarci addosso, cercando la bontà della giustizia o il senso della storia che risanassero moralmente e culturalmente la ferita del terrorismo.
Di quell’ipocrisia ancora saldamente novecentesca (l’ideologia della guerra, la morale della guerra), restano oggi le immagini del nostro ministro degli Esteri al mare, degli uomini che precipitano dagli aerei in fuga da Kabul, delle lacrime della ragazza che sa che verrà uccisa senza capire perché è stata abbandonata. Perché la Storia l’abbia tanto presto messa da parte, svelandole brutalmente l’inganno a cui così tenacemente abbiamo noi stessi desiderato credere.
@ - RIFLESSIONI / CONSIDERAZIONI PER LA FUTURA "RISPETTOSA" CONVIVENZA CIVILE CON L'AFGANISTAN
Quando diede questa intervista, nel 2016, Giovanni Sartori aveva quasi 92 anni e la sua lucidità era ancora allucinante. Sarebbe morto un anno dopo. Le sue parole sono di una attualità estrema.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Sartori «Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati».
Quale disastro?
«Illudersi che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si è scatenata la guerra in cui siamo».
Perché?
«Perché l'Islam che negli ultimi venti-trent'anni si è risvegliato in forma acuta - infiammato, pronto a farsi esplodere e assistito da nuove tecnologie sempre più pericolose - è un Islam incapace di evolversi. È un monoteismo teocratico fermo al nostro Medioevo. Ed è un Islam incompatibile con il monoteismo occidentale. Per molto tempo, dalla battaglia di Vienna in poi, queste due realtà si sono ignorate. Ora si scontrano di nuovo».
Perché non possono convivere?
«Perché le società libere, come l'Occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L'Islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile».
Sta dicendo che l'integrazione per l'islamico è impossibile?
«Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita.Pensi all'India o all'Indonesia».
Quindi se nei loro Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece...
«...se invece l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani islamici più fanatici e incattiviti che mai».
Ma il multiculturalismo...
«Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».
Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo.
«La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».
Cosa serve?
«Regole. L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia, deve avere un visto, documenti regolari, un'identità certa. I clandestini, come persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E stavo benissimo».
E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste?
«Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro - e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti».
Cosa sta dicendo?
«Sto dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».
Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente...
«Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq».
Si dice che il contatto tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe.
«Se c'è rispetto reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro favore».
E l'Europa cosa fa?
«L'Europa non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea, devastando l'economia continentale. Non è questa la mia Europa».
Qual è la sua Europa?
«Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli Usa. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico».
Come finirà con l'Islam?
«Quando si arriva all'uomo-bomba, al martire per la fede che si fa esplodere in mezzo ai civili, significa che lo scontro è arrivato all'entità massima».
Da Il Giornale, 17/01/2016
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